Individuato in un tipo di autismo un elemento causale legato a CD47
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 17 aprile 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
L’attenzione della nostra società scientifica agli
sviluppi della ricerca sui disturbi dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum
disorder), la cui patogenesi li colloca da decenni fra i disturbi
pervasivi dello sviluppo embriogenetico dell’encefalo, ci ha consentito di
comprendere e diffondere, oltre a nuovi dati emergenti, una conoscenza del profilo
dei processi alterati durante le fasi precoci dell’evoluzione, che consente di
orientare la ricerca sull’eziologia.
Oggi non è facile comprendere il ruolo che hanno
avuto i nostri contributi, soprattutto nel primo decennio dalla nostra fondazione,
per l’affermazione del paradigma scientifico nell’approccio ai bambini affetti
da sindromi riconducibili alla descrizione dell’autismo infantile, perché attualmente
le nozioni acquisite dalla ricerca neuroscientifica e insegnate alle scuole di
specializzazione medica in neuropsichiatria infantile e in pediatria
costituiscono un saggio e razionale riferimento condiviso dai membri delle équipe
di intervento.
Fino a un recente passato, i bambini che ricevevano
una diagnosi di “condotte autistiche”, “sindrome autistica”, “disturbo
autistico”, “autismo di Kanner” o “disturbo dello spettro dell’autismo” erano
affidati alle cure di team riabilitativi nei quali prevaleva la cultura
psicologica, in Italia ancora dominata da tesi sviluppate in forma ideologica e
difese dagli interpreti come dottrine politiche. Fra tali tesi vi era una
congettura, in realtà confutata già mezzo secolo prima dall’osservazione
medica, secondo la quale i sintomi presentati dai bambini affetti da ASD non sarebbero
stati deficit funzionali da alterato sviluppo cerebrale, ma avrebbero
rappresentato una reazione a comportamenti inadeguati dei genitori (“madri
frigorifero”, ecc.), secondo il modello freudiano dell’inconscio patogeno
elaborato più di un secolo fa per spiegare la formazione dei sintomi delle
nevrosi nelle persone adulte.
L’autismo per costoro era un sintomo reversibile
come una conversione isterica o una cefalea da stress. Il principale
effetto collaterale di questo grave errore era costituito dall’interruzione
degli accertamenti neurodiagnostici – che in molti
casi avrebbero scoperto che la sintomatologia autistica era secondaria a facomatosi, X-fragile, anomalie congenite multiple, ecc. – e
dall’impostazione del trattamento come una maieutica rivolta ai genitori per portare
alla coscienza ostilità inconscia, avversione reciproca scaricata sul bambino,
e così via, sommergendo di sensi di colpa i due malcapitati e, al contempo,
persuadendoli dell’origine psicologica reattiva di ciò che invece è da
attribuirsi ad alterazioni neuroevolutive dell’encefalo per cause diverse, con
differenti meccanismi, ma sempre con una componente genetica rilevante.
La nostra indagine sul “caso” di Bruno Bettelheim, le cui speculazioni erano ancora insegnate come
vangelo in corsi diretti a psicologi e terapisti, prese proprio le mosse dalla
sua millantata capacità di “guarire” psicosi infantili e autismo creando un
ambiente simile a un grembo materno nella sua “Scuola Ortogenica
di Chicago”[1].
Ricordiamo che abbiamo contribuito a diffondere in
ambito post-universitario la conoscenza degli studi di Uta Frith,
che già negli anni Ottanta aveva indagato e dimostrato la difficoltà degli
autistici a integrare i costituenti dell’informazione in insiemi coerenti (weak central coerence) in grado di avviare le risposte fisiologiche
previste dal piano genetico neuroevolutivo, ma anche
necessarie per concepire lo stato mentale degli interlocutori, ossia il
possesso della cosiddetta teoria della mente. Mentre la studiosa tedesca
dello sviluppo infantile dal punto di vista delle neuroscienze cognitive
in Autism:
Explaining the Enigma del 1989[2] forniva
un resoconto di decenni di studi neuropsicologici sui bambini con disturbo
autistico, in Italia si continuavano a insegnare congetture erronee in massima
parte elaborate molto tempo addietro da autori completamente privi di nozioni
pediatriche, neuropsichiatriche infantili e, soprattutto, senza una reale
esperienza di osservazione e interazione con bambini affetti dal disturbo[3].
Nel 2003, quando organizzavamo incontri di aggiornamento
post-universitario sull’autismo, usciva la seconda edizione del volume di Uta Frith, ma potemmo costatare che in Italia ancora molti,
troppi professionisti che lavoravano con bambini e ragazzi che avevano ricevuto
diagnosi di ASD, non conoscevano affatto la massima esperta del campo e i
principali studi di neuropsicologia e scienze cognitive[4].
Attualmente il campo della ricerca sulle differenti
cause e sui meccanismi eziopatogenetici di questi disturbi è molto vasto ed è
difficile tenere il passo con ogni area di indagine, ma riusciamo a monitorare
alcune piste genetiche che sembrano particolarmente promettenti.
Le forme più gravi di ASD sono spesso diagnosticate in
bambini e ragazzi che presentano macrocefalia, e in un numero
significativamente elevato di tali casi sono state accertate delezioni di una piccola
parte del cromosoma 16, ossia 16p11.2. È noto che queste forme di macrocefalia
sono causate da una crescita volumetrica eccessiva del cervello e, dunque, sono
state indagate tutte le probabili cause, dalla compromissione del processo di
selezione sinaptica in corso di sviluppo fino alla crescita gliale. Jingling Li e colleghi coordinati da Sundari
Chetty dell’Università di Stanford hanno impiegato
cellule staminali derivate da pazienti con sindrome da delezione di 16p11.2 per
scoprire la ragione della crescita eccessiva del loro encefalo.
L’attenzione dei ricercatori è stata attratta da CD47
una proteina che segnala “Non mangiarmi!” alle cellule fagocitarie e la cui via
(CD47 pathway) è implicata nella progressione cancerosa. Sviluppando le
cellule staminali nella linea neuronica è emerso che le persone affette da sindrome
da delezione di 16p11.2 presentano iper-espressione di CD47 nelle cellule
nervose cerebrali, con conseguente riduzione della fisiologica eliminazione da
parte delle cellule immunitarie dei neuroni selezionati nel corso dello
sviluppo. Questo meccanismo sembra spiegare tanto le dimensioni eccessive dell’encefalo
quanto l’alterazione che causa la sindrome.
(Li J. et
al., Overexpression of CD47 is associated with brain overgrowth and
16p11.2 deletion syndrome. Proceedings
of the National Academy of Sciences USA –118 (15): e2005483118, April 13, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Psychiatry and Behavioral Sciences, Stanford University School of Medicine, Stanford,
CA (USA); Institute for Stem Cell Biology and Regenerative Medicine, Stanford University
School of Medicine, Stanford, CA (USA); Ludwig Center for Cancer Stem Cell Research
and Medicine at Stanford, Stanford University School of Medicine, Stanford, CA
(USA); Department of Pathology, Stanford University School of Medicine, Stanford,
CA (USA); Department of Biomedical Informatics, Stanford University, Stanford,
CA (USA).
Prima di dettagliare lo studio qui recensito, che
peraltro riguarda al livello molecolare anche la psicosi schizofrenica e altri
disturbi da alterazione dello sviluppo cerebrale, si propone un’introduzione ai
disturbi dello spettro dell’autismo tratta da un nostro articolo del dicembre
dello scorso anno:
“Il disturbo pervasivo dello sviluppo cerebrale definito autismo
infantile da Leo Kanner nel 1943 costituisce una categoria clinica
intrinsecamente disomogenea, accomunata da tre tipi di manifestazioni presenti
in misura più o meno marcata in quelli che attualmente si definiscono disturbi
dello spettro dell’autismo : 1) precoci deficit comunicativi non causati da
specifiche lesioni sensoriali o motorie; 2) mancanza della spontanea tendenza
all’interazione con le persone dell’ambiente e capacità ridotta di interagire
alla richiesta dell’adulto; 3) restrizione del campo di interesse nel rapporto
con l’ambiente e comportamenti stereotipati con atti ripetitivi e non
finalistici.
Anche se negli studi condotti fino alla fine degli anni Novanta solo il
5-10% dei piccoli pazienti diagnosticati di disturbo autistico
presentava un dimostrabile contributo eziologico allo sviluppo della sindrome
da parte di cause genetiche, mediche o neurologiche, oggi è chiaro che tratti
di tipo autistico possono essere presenti in condizioni cerebrali fra loro
diverse. Costantemente si osservano condotte di tipo autistico nella sindrome
dell’X fragile (FraX), nella sclerosi tuberosa (ST), in alcuni errori congeniti
del metabolismo, in varie anomalie cromosomiche e in anomalie congenite
multiple, ma talvolta anche nella paralisi cerebrale infantile.
I progressi compiuti nei metodi e nelle tecniche dell’indagine genetica
oggi consentono di riconoscere una notevole importanza ai fattori genetici. La
genetica dell’autismo è complessa, eterogenea e, nella maggior parte dei casi,
poligenica. Attualmente si studiano i ruoli dell’epistasi, cioè dell’interazione
gene-gene, e dell’emergenesi, cioè delle sinergie fra fattori diversi.
È stata proposta e adottata per un certo tempo la
distinzione tra autismo idiopatico e disturbi dello spettro dell’autismo,
oggi la tendenza clinica prevalente adotta i criteri del DSM e dell’ICD, anche
se è chiaro che alla categoria basata sulla sindrome di difetto di comunicazione
e interazione con stereotipie motorie non corrisponde un’eziopatogenesi comune
e, dunque, alle due categorie cliniche di disturbo autistico e disturbi
dello spettro dell’autismo corrispondono entità patologiche differenti”[5].
La CNV (copy number variation) al locus 16p11.2 è associata con disturbi
neuropsichiatrici, quali quelli dello spettro dell’autismo e la schizofrenia. Le
CNV del gene 16p possono manifestarsi con i due estremi opposti percentile delle
dimensioni del neurocranio. I portatori delle delezioni di 16p11.2 tendono a
presentare macrocefalia, ossia sviluppo volumetrico eccedente del cranio
dipendente dalle dimensioni eccessive dell’encefalo. All’opposto, nel caso della
duplicazione di 16p11.2 presentano frequentemente microcefalia.
È stato osservato in studi di neuroimmagine del cervello
di portatori di delezione 16p11.2 associata a macrocefalia l’incremento
volumetrico sia della materia grigia che della sostanza bianca. Prendendo le
mosse da questi risultati sperimentali, Jingling Li e
colleghi hanno usato cellule staminali umane pluripotenti indotte (hiPSC, da human induced pluripotent stem cells)
derivate da controlli, soggetti portatori di delezione 16p11.2 e soggetti
portatori di duplicazione 16p11.2 per cercare di comprendere i meccanismi responsabili
della regolazione della crescita cerebrale. Per riprodurre il modello sia della
materia grigia che la sostanza bianca, i ricercatori hanno differenziato le
iPSC derivate dai pazienti in cellule progenitrici neurali (NPC) e precursori
di oligodendrociti (OPC). In entrambe, le NPC e le OPC, è emerso che CD47 era
iper-espresso nei portatori di delezione 16p11.2 e contribuiva alla riduzione
della fagocitosi sia in vitro sia in vivo.
Un’altra osservazione rilevante è che la delezione di 16p11.2
nelle cellule NPC e OPC determinava un significativo aumento dell’espressione
sulla superficie cellulare della calreticulina
– un segnale pro-fagocitico “mangiami” – e dei suoi siti di legame, indicando
che queste cellule che dovrebbero essere fagocitate non possono essere eliminate
a causa dell’elevazione di CD47. Gli
esperimenti di trattamento della delezione di 16p11.2 in NPC e OPC con un anticorpo
anti-CD47 che blocca CD47, hanno dimostrato che questa neutralizzazione
è in grado di ristabilire i livelli di fagocitosi fisiologica.
Mentre la via di CD47 è ordinariamente implicata nella
progressione del cancro, Jingling Li e colleghi hanno
documentato un ruolo per CD47 nelle alterazioni neuropatologiche associate a crescita
volumetricamente eccessiva del cervello.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-17 aprile 2021
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Da indagini condotte negli USA si era scoperto che non sempre i bambini uscivano
vivi da quella “scuola” e, anche in caso di morte, Bettelheim
dava la colpa ai genitori, che avrebbero indotto nei bambini sensi di colpa
così profondi da suicidarsi. Cosa realmente accadesse si può leggere nel nostro
articolo La terribile verità su Bruno Bettelheim,
BM&L-Italia, Firenze 2003; si veda anche Richard Pollack, The Creation of Dr.B. - A Biography of Bruno Bettelheim,
Simon & Shuster 1997. Siamo grati a tutti coloro
che hanno contribuito a diffondere il nostro articolo, includendolo in un libro
come fece il professore Nicola Lalli, o proponendolo su siti web di
associazioni per la conoscenza del disturbo e il supporto ai genitori, come ha
fatto il dottor Gianni Papa, perché la crescita della consapevolezza collettiva
circa l’anacronismo e l’insostenibilità delle credenze sottoculturali sull’origine
psicologica dell’autismo ha avuto un ruolo nel facilitare l’affermarsi di un corretto
approccio medico.
[2] Uta Frith, Autism: Explaining the Enigma, Blackwell
Publishing 1989.
[3] Si pensi che un’indagine
preliminare per uno studio condotto in Italia in quell’epoca aveva accertato
che le diagnosi di disturbo autistico erano in massima parte erronee o,
comunque, non poste sulla base dei criteri clinici assunti dalla comunità medica
internazionale, ma sulla semplice impressione di “mancata risposta al richiamo
acustico” associata a stereotipie motorie.
[4] Si trattava di testi
accessibilissimi, non erano certo studi di neurochimica o genetica molecolare.
[5] Note e Notizie 12-12-20 Autismo e ricerca di autoanticorpi e stress ossidativo
per nuovi trattamenti.